La link building che piace a Google (e alle AI)

Maria Paloschi
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Maria PaloschiWebinar del 22/10/2025

Dallo storytelling alla credibilità: scopri come costruire brand e reputazione.

Fai ancora SEO off site alla vecchia maniera? Una campagna di link building ben fatta non alza solo i ranking: spinge la brand awareness, costruisce reputazione e porta un risultato concreto. Sì, anche agli occhi delle AI.

Link building oggi è storytelling + credibilità + naturalezza e te lo dimostriamo.
In questo webinar con Maria Paloschi, SEO Team Leader di The Brandformance Society, approfondiremo:

  • Dalle Google Bomb a Penguin: fine dei giochi sporchi.
  • Penalizzazioni memorabili: quando i giganti cadono, fa rumore.
  • Vince il contesto, l’intento di ricerca e l’aggiornamento in tempo reale.
  • Travel e Fashion: esempi concreti di campagne.
  • Esperimenti di campagne per influenzare la SEO for AI.
  • Analisi, scelta dei portali giusti con SEOZoom, coerenza con le aree semantiche.
  • Guest post che hanno senso e che l’utente leggerebbe davvero.

La link building oggi è molto più di quanto possa sembrare a un primo sguardo.

La link building che piace a Google (e alle AI)

Domande e considerazioni trattate

  • 50:25Quanti link e quanto budget servono per una campagna?
  • 53:30Utilizzi anche Reddit o Quora?
  • 54:25Come inserire il link dei competitor?
  • 56:00Come si trovano portali di guest post e come si richiede un guest post?
  • 58:15Meglio un sito piccolo e verticale o grande e generalista?
  • 59:10Abbiamo due siti, possiamo fare uno scambio link?
  • 01:0:20Acquistare guest post su pagine già posizionate, ha più valore?
  • 01:01:30Mi hanno contattato dall'estero per un guest post sul mio blog, devo avere qualche attenzione?

Link Building: come farla oggi per le persone, per Google e per le AI

C’è stato un tempo in cui la link building era un Far West.
Bastava una “google bomb” ben orchestrata (decine di siti che puntavano tutti con la stessa ancora a una pagina) per associare ricerche imbarazzanti a biografie di personaggi pubblici. Quel mondo non c’è più. Il motivo è tecnico, storico e culturale. Con Penguin (prima come aggiornamento punitivo, poi dal 2016 come parte stabile dell’algoritmo), Google ha smesso di “farsi fregare” dalle scorciatoie sistematiche e ha cominciato a pesare sempre di più qualità, coerenza e contesto del link.

Risultato pratico: oggi il rischio reale non è tanto “essere massacrati” per ogni link sbagliato, quanto spendere soldi in collegamenti che il motore ignora.

Maria Paloschi lo ha spiegato in modo chiaro: la link building è tornata al suo significato letterale costruzione di relazioni e lo è per Google, per le persone e, sempre più, per i modelli generativi.

Dal “trucco” alla strategia: perché il contesto fa (quasi) tutto

Siamo passati da pratica manipolativa a leva strategica. Oggi contano:

  • il contesto editoriale in cui nasce il link (che storia racconta l’articolo? che tono ha? chi sono le altre entità citate accanto al brand?);

  • la credibilità dell’host (non solo “quanto è grande”, ma se ha senso che parli proprio di te);

  • la coerenza semantica tra l’ancora, la pagina linkata e l’intento di ricerca che vuoi presidiare.

È questa triade a fare la differenza anche nelle risposte dei sistemi AI: non “quanto link juice”, ma quanto sei raccontabile e ben contestualizzato dalle fonti giuste.

Due casi reali: viaggi e fashion

Il primo case è un brand travel già molto noto. La campagna non si è limitata ad “alzare” tre aree semantiche (viaggi in Spagna, in Giappone, viaggi di gruppo): ha mirato a creare un’associazione mentale stabile tra brand e topic. Come? Pubblicazioni coerenti, narrazione del marchio dentro articoli credibili, citazione, sì, anche di competitor per evitare l’effetto “brochure”. Quando presidii la Top 3 in modo costante, succede qualcosa di misurabile: crescono le ricerche brand + topic. Ed è lì che l’awareness si traduce in performance.

Il secondo case è fashion con awareness più bassa. Target: “abiti da cocktail”, “top eleganti”, “abbigliamento donna elegante”. Qui la selezione degli host è stata realistica (niente grandi quotidiani generalisti “perché fa bello”, ma verticali e magazine dove il marchio potesse stare in modo naturale). Risultato: copertura completa del cluster “abiti da cocktail” e, ancora una volta, incremento delle query brand + cluster. Il segnale è quello giusto: quando la gente ti cerca così, le conversioni migliorano.

LLM e overview: perché le menzioni contano anche senza link

Nel racconto di Paloschi c’è un passaggio chiave: una comparsa in AI Overview ottenuta senza link, solo con una menzione all’interno di una lista autorevole (“i migliori tour operator per…” dove erano citati sia cliente sia concorrenti). Questo non significa che i link non servano più; significa che i modelli generativi costruiscono reputazione dal contesto. Nofollow e sponsored non sono zavorra se l’host è credibile e il testo è utile. L’AI non “pesa” come PageRank; interpreta. E interpreta meglio quando trova una narrazione onesta, non monologhi autopromozionali.

Come si imposta una campagna che funziona

Si parte sempre da un’analisi di fattibilità: profilo attuale di backlink, mix follow/nofollow, ancore presenti, pagine più linkate, coerenza con i picchi/cedevoli del traffico. Poi si sceglie poche aree semantiche ad alto impatto in cui sei già “a tiro”: seconda o terza pagina è l’ideale, perché portare una pagina da #80 a #30 “fa volume”, ma non valore; accompagnare una pagina da #11 a Top 3 cambia la vita—e i KPI.

La parte editoriale è il cuore: l’articolo deve essere interessante anche senza il tuo link. Liste ragionate (“i 10 migliori…”), esperienze di redazione, test reali, guide evergreen, confronti in cui citi altri marchi. Chi clicca deve trovare naturale che, a un certo punto, ci sia anche il tuo brand. E l’ancora? Mischia branded, parziali, nude/generiche; usa le esatte con criterio e solo dove la base di fiducia regge.

Un accorgimento poco discusso ma utilissimo: varia la posizione del link (in alto, nel corpo, in coda) e la lunghezza dei pezzi. Qualsiasi “pattern” sistematico (stesse ancore, stessi tempi di pubblicazione, stesso IP/hosting per tutti gli host, stessa metrica da inseguire) tradisce la natura editoriale della campagna. L’obiettivo è l’opposto: rendere la tua presenza indistinguibile da ciò che succede quando un brand merita di essere citato.

Budget e tempi (come ragionarci)

Dalla discussione emerge una logica di campagne su 2–3 aree, in finestre di 3–4 mesi, con un “ordine di grandezza” di pubblicazioni che può arrivare alla ventina. I costi vivi degli host di qualità non sono simbolici: per brand già avviati, pretendere “grandi risultati a basso costo” è illusorio; per progetti più piccoli si può lavorare bene con testate meno costose, purché coerenti. Il punto non è la cifra secca: è che cosa compri davvero—spazio buono, contesto rilevante, testo accettabile per esseri umani.

KPI da tenere d’occhio (pochi, chiari)

Non raccontiamoci storie: il successo non è l’aumento di “una metrica di terze parti”, ma il passaggio da visibilità a ricavi. In ordine: quota di Top 3 sul cluster, CTR e click dalle query non brand, crescita delle ricerche brand + topic, sessioni e conversioni sulle pagine d’atterraggio. Se in parallelo crescono le citazioni credibili e le presenze nelle overview AI su quelle aree, hai centrato sia il motore sia la narrazione.

Cosa evitare per risparmiare tempo e credibilità

Tre rapide trappole che ritornano nella lezione.

  • Primo: guest post autoreferenziali—pezzi che parlano solo di te, senza dire nulla a nessuno.
  • Secondo: pattern riconoscibili—stesse ancore, stesse lunghezze, stessi giorni di pubblicazione, stessa rete di IP: è la scorciatoia che ti rende invisibile.
  • Terzo: disavow compulsivo—se non hai un problema reale di spam fuori controllo o un’azione manuale, stai sereno e investi energie altrove.
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